Obiettivi

Nelle pagine di questo sito troverete alcuni percorsi formativi volti allo sviluppo delle competenze trasversali (continuerò a chiamarle così per comodità). Nello specifico verranno toccate:

Gestione del conflitto: E’ la capacità di accettare che le persone con cui lavoro abbiano urgenze diverse dalle mie e che siano anche tra loro differenti. Nei manuali ci insegnano il dialogo costruttivo votato alla crescita di entrambe le parti attraverso il confronto degli argomenti. Ok come asintoto è perfetto, ma nella realtà si mischia l’emozione ed inevitabilmente regrediamo. Vorremmo tanto che non fosse così, ma è inevitabile quanto più siamo appassionati a ciò che facciamo

Parlare in pubblico: E’ caratterizzata da due fattori: organizzazione degli argomenti, uso della parola e della voce. Ogni individuo ha un proprio stile per avvicinarsi ad un’esposizione, alcuni preferiscono memorizzare la parte altri tenere presente il filo degli argomenti in modo da poter integrare eventuali intuizioni del momento. Fondamentale è respirare, non mangiarsi le parole, dirle fino all’ultima lettera, vedere quello di cui si sta parlando.

Umorismo: Non si tratta soltanto di fare la battuta, ma anche di accettare che venga fatta, che sia presente la possibilità di ridere e prendersi anche poco sul serio. Avere umorismo significa scegliere il momento adatto per scherzare. Sarà quello il momento in cui esco dal mio ruolo quotidiano e guardo me ed il gruppo da un’altro punto di vista, riconoscendo delle criticità proprio perché mi han fatto ridere. Ed alla fine con rinnovata consapevolezza possiamo anche decidere che è conveniente risultare grotteschi, ridicoli, simpatici, bizzarri.

Immaginazione: E’ la capacità di rappresentare nella nostra mente una realtà che non c’è. Importantissima specialmente nelle fasi di risoluzione dei problemi, quando si tratta di considerare opportunità fuorimano o intraprendere strade poco battute. La curiosità è che nella stessa persona può esprimersi a pieno in condizioni di forte stress come in condizione di estrema rilassatezza. In breve è possibile allenarla, ma non domarla completamente.

Consapevolezza: Faccio riferimento in particolare all’autoconsapevolezza, ovvero alla capacità che abbiamo di renderci conto del tipo di influenza che il nostro comportamento ha sulle altre persone.

Empatia: E’ la capacità di entrare in sintonia con l’altro indipendentemente dagli argomenti di cui si sta trattando. Si sviluppa partendo da tutto ciò che durante una comunicazione non viene trasmesso per via verbale: il metalinguaggio, la postura, i movimenti del corpo, la direzione dello sguardo.

Ascolto attivo: Significa ascoltare senza interpretare nè giudicare chi ci sta parlando. Non è un compito facile, perché andare oltre il significato esplicito e leggere tra le righe spesso ci ha salvato. Altre volte però, ammettiamolo, ci ha solo confuso. Riconoscere gli automatismi del giudizio e dell’interpretazione serve a capire quando usarli e quando no.

Metodi

Erving Goffman in un noto saggio (“la vita quotidiana come rappresentazione”) spiega come abbiamo tutti quanti il nostro pubblico nei confronti del quale ci prepariamo: figli, figlie, mogli, mariti, colleghi di lavoro, amici, amiche, genitori, parenti.

Per loro entriamo in scena centinaia di volte in una giornata e tendiamo a prepararci con un certo rigore, per queste performance quotidiane. Non possiamo fare a meno di recitare la nostra parte, tutti i giorni.

La formazione di un attore o di un regista prevede un repertorio di strumenti che permette loro di destrutturare ed analizzare in maniera molto definita ciò che lo spettatore si aspetta di vedere in scena: il comportamento umano.

E’ proprio di questo repertorio di strumenti che mi servo per sviluppare i percorsi che propongo. Ad essi oltre l’efficacia per gli obiettivi dati è da aggiungere la componente di divertimento e sorpresa, come fattore motivante per il gruppo.

Il mio approccio al teatro è soprattutto fisico. Consapevole che solo una parte di quel che comunichiamo passa attraverso la parola, durante i miei corsi pongo l’accento soprattutto su tutto quel che è il nostro comportamento al di là di ciò che diciamo.

Il teatro prende situazioni critiche come quelle che viviamo tutti i giorni le colloca in una cornice diversa, ne amplifica la portata, tragica o comica a seconda delle scelte di drammaturgia e li mette in scena.

Stanislavskji all’inizio del secolo scorso definì modelli di esercizio utili all’attore per rendere organico il conflitto in scena. Nel corso degli anni la sua tecnica è stata sviluppata ed aggiornata. Io utilizzo esercizi provenienti da questo filone per analizzare il conflitto, scomporlo e rendere consapevoli i meccanismi che si attivano in questi momenti.

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